sabato 18 luglio 2009

il messaggio pubblicitario. 10 anni fa.

Circa dieci anni fa, dopo due anni di ricerche estenuanti ed entusiasmanti, di registrazioni e trascrizioni, scrissi 213 pagine che ho ripescato. Il titolo del lavoro suonava così: RETORICA E LINGUA DEGLI SPOT TELEVISIVI .

Oggi sono curiosa di vedere che cosa è cambiato in dieci anni. Dagli spot televisivi alla mia esperienza, al mio punto di vista. Così ho deciso di rileggere e pubblicare via via quelle pagine, prendendomi il tempo per ragionarci su. Ecco il primo capitolo.


capitolo 1

Il messaggio pubblicitario

Giorgio Raimondo Cardona nel 1974 esordiva in La lingua della pubblicità affermando: “Che chi ha qualcosa da vendere elogi la sua merce nel modo più lusinghiero non è certo cosa dei giorni nostri” (pag 5). E secondo Medici il linguaggio della pubblicità è “una forma mirata [...] che porta sempre a enfatizzare l’espressione e il significato” (pag 7).


Come dice Annamaria Testa, nome del prodotto, imballaggio e comunicazione pubblicitaria hanno la funzione di mettere in evidenza o di istituire differenze nella percezione di prodotti simili, e nel tipo di gratificazione secondaria che può derivare dal loro uso (La parola immaginata, pag. 13).

Propagandare l’unicità o la superiorità di un prodotto per indurre all’acquisto è un fine perseguibile in modo più o meno esplicito, con artifici di ordine retorico o con estrema “innocenza”. Quanto più gli argomenti diventano irrilevanti o pretestuosi, tanto più acquistano rilievo i modi.

Comunque persegua il suo fine, il messaggio pubblicitario ha due fondamentali caratteristiche: l’intenzione persuasiva, propagandistica e il tono elativo, iperbolico. La modulazione e il “dosaggio” di capacità e modalità persuasive e di intensità espressiva, inseme alla scelta dei media e dei codici o linguaggi, del tone of voice , fanno la differenza fra i vari generi di messaggio pubblicitario.

La forma assunta dal messaggio è imprescindibile dal brief, una serie di valutazioni e di indicazioni strategiche, nate da incontri fra gruppo marketing dell’azienda cliente e gruppo dirigente e account dell’agenzia pubblicitaria. Il brief non considera solo prodotto (età, vantaggi specifici rispetto a prodotti analoghi, immagine presso il pubblico, costo, distribuzione, storia pubblicitaria), scenario di mercato (concorrenti), situazione del mercato (vendite), obiettivi di comunicazione, scopo della campagna (promozione di un prodotto o lancio di un nuovo prodotto, piuttosto che allargamento del mercato o aumento della frequenza di consumo, delle occasioni d’uso), budget,
distribuzione (e piano mezzi), immagine di sé che la marca (brand) desidera diffondere, ma anche

brand positioning e brand image (posizione reale della marca nella mente dei consumatori e nelle scelte di consumo; immagine di marca,), heritage (eredità, storia, reputazione), delivery (insieme dei valori di cui la marca si fa portavoce). Sottovalutare o, peggio, disconoscere questo patrimonio di valori simbolici legati all’immagine di marca, significa snaturarne l’identità, creare confusione e incertezza nella mente dei consumatori, non sfruttare appieno le potenzialità persuasive date
dall’autorevolezza dell’oratore (in altre parole: incoerenza);

target, l’obiettivo di popolazione dei clienti, potenziali e reali, e i loro comportamenti di consumo, le loro caratteristiche identificative, il loro patrimonio mentale; gli atteggiamenti e i valori dei consumatori, le conoscenze e i condizionamenti condivisi più o meno omogeneamente dai vari clusters (gruppi
di popolazione individuati attraverso segmentazioni di tipo sociodemografico, psicografico, socioculturale) .

Come ogni altra forma di comunicazione, dunque, anche quella pubblicitaria dipende da alcune variabili:
a) funzione del messaggio,
b) mittente / emittente,
c) destinatario / ricevente,
d) contatto / canale,
e) referente / contesto,
f) codice,
g) messaggio / contenuto.

a) La funzione primaria della pubblicità è anche una sua caratteristica genetica distintiva: la persuasione. Più in dettaglio una comunicazione commerciale deve attirare e fermare l’Attenzione, suscitare l’Interesse, stimolare il Desiderio, spingere all’Acquisto (riassunti nell’acronimo AIDA).
b) Il mittente ultimo è il committente del messaggio pubblicitario, marca o prodotto, con i propri positioning, image, delivery, heritage, visual (l’immagine scelta per la comunicazione pubblicitaria, soprattutto se su stampa): l’oratore della retorica classica.
c) Non è indifferente parlare di “destinatario” e di “ricevente”: l’uditorio del messaggio pubblicitario, e dei mass media in genere, è più che mai eterogeneo e comprende un pubblico di “interessati” (chi conosce, acquista il prodotto o potrebbe farlo, chi fa uso di prodotti dello stesso genere merceologico o ne è semplicemente incuriosito) e di “non interessati”. I primi rappresentano il target group, il segmento di pubblico a cui la specifica campagna si rivolge, i destinatari del messaggio, i secondi, riceventi, sono dei contatti fuori target.
d) Il messaggio pubblicitario viene trasmesso da media (quotidiani o periodici, affissione, radio, cinema, televisione, web e nuovi media) e veicoli (singole testate, emittenti, siti) scelti opportunamente per la campagna.
e) Il contesto è indispensabile per individuare la vera funzione del messaggio, nonché il suo reale contenuto. Nel nostro caso non si deve dimenticare innanzitutto che il messaggio stesso è un prodotto in vendita “non solo perché il testo è “venduto” […], ma anche perché […] i futuri acquirenti […] non comprano il prodotto per se stesso ma per quella suggestione […] che il pubblicitario ha saputo associare e addirittura sostituire al prodotto” (Altieri Biagi 1979: 318). Il contesto sociale, economico e culturale influiscono in modo significativo sulla qualità dell’approccio pubblicitario. Il messaggio viene dunque collocato in un contesto fittizio, un’ambientazione da cui deriva il tone of voice.
f) Il codice del messaggio pubblicitario non è né unico, né univoco. Va dal sistema di segni e simboli, al linguaggio verbale, da quello iconico (foto, disegni, fotonarrazioni, fumetti, tipografia e disegno delle lettere del testo verbale) a quello sonoro (dizione, musica, rumori, canto), dal linguaggio mimico, gestuale, prossemico (nella recitazione), a quello filmico (scenografie, inquadrature, montaggio, cartoni animati, computer graphics, riprese dal vero).
g) Gli elementi fondamentali del contenuto di una comunicazione pubblicitaria sono promessa o consumer’s benefit, reason why e supporting evidence. Consumer’s benefit è il vantaggio promesso al consumatore come conseguenza dell’acquisto o dell’uso del prodotto. Per rendere credibile la promessa è necessario dotarla di un supporto razionale: una reason why, un motivo tangibile, spesso “scientifico” che spieghi la realizzabilità della promessa. Il compito di persuadere sulla verosimiglianza e importanza della promessa è affidato alla supporting evidence, l’apparato retorico o di topoi addotti come argomentazione del messaggio. Il risultato finale (end-result) può mostrare dei vantaggi aggiuntivi rispetto a quelli promessi.

Una serie di convenzioni comunicative riguardanti relazioni preferenziali tra certi contenuti e certe tecniche testuali, condivise da emittente e recettore, guidano da un lato la produzione, dall’altro l’interpretazione di un testo, identificandolo come appartenente ad un genere specifico. Pier Vincenzo Mengaldo (1994: 37-86), seguendo una partizione strutturale e insieme cronologica già presentata da Berruto (1973), distingue sei “generi” o “tipi” fondamentali di messaggio pubblicitario:

Cordiale e familiare, discorsivo; spesso ampio e ricco di elementi subordinativi ed esplicativi, caratteristico dell’epoca fra le due guerre;

Messaggio-tipo: tendente allo slogan o alla forma epigrammatica e “poetica”, con rima predominante;

Racconto poetico, che può assumere tratti della poesia d’avanguardia, nato negli anni Sessanta;

Descrizione diffusa e tecnica del prodotto, affidata alla logica delle cose e non ad altri elementi persuasivi, sia interni che esterni al messaggio, (il messaggio assume il massimo dell’informatività); di sviluppo più recente;

• Assoluto dominio dell’elemento iconico, in forma di mini-racconto;

• Combinazione di elemento iconico e musicale.

Ruggero Eugeni (in Dizionario della pubblicità di Abruzzese-Colombo 1994: alla voce “generi”) individua invece tre generi di comunicazione pubblicitaria distinguendoli in base alla “zona” del testo più direttamente coinvolta nella strategia persuasiva:


1) Se è il livello sintattico-stilistico ad essere responsabilizzato della persuasione, la strategia si basa sulla costruzione di una sorta di sineddoche tra qualità “estetica” del messaggio e qualità del prodotto, dando origine ad una comunicazione tendenzialmente “poetica” e autoreferenziale. Immagini irrealistiche, decentrate, colori anomali e antinaturalistici, inquadrature forzate, esibite, movimenti esasperatamente veloci o lenti, colonna sonora pesante e invadente compongono messaggi antinarrativi.

2) Quando la persuasione è affidata al livello semantico del testo, il messaggio rappresenta “a vista” un collegamento fra prodotti e valori. Qualità e desiderabilità del prodotto emergono “da sole” come morale ultima del messaggio che assume forma di racconto: racconto di costruzione del prodotto, racconto d’uso, racconti di
desiderio o di attesa in cui i valori del prodotto non vengono esibiti, ma narrati attraverso la descrizione del crescente desiderio del prodotto da parte di un soggetto. Questo tipo di messaggio si avvale di immagini e sonoro realistici, di sequenze lineari, e di musica di sottofondo sempre al servizio della narrazione.

3) Nel caso in cui venga usato a scopi persuasivi il livello pragmatico del testo, vengono responsabilizzati i mezzi che mettono in relazione il testo con il recettore, ossia quei personaggi che, rivolgendosi direttamente al ricevente, cercano di instaurare con lui un legame fiduciario. L’affidabilità del testimonial (il personaggio che attesta le caratteristiche positive di un prodotto, o come consumatore eccellente o come attore di una gag, e consente ai committenti di facilitare e addirittura aumentare il ricordo del prodotto) può venire dalla notorietà (casi recenti: Giulio Andreotti per un portale di accesso ad Internet, Harrison Ford per un’automobile, Madonna per una marca di cosmetici), dal prestigio dato dall’appartenenza ad alcune categorie professionali (il medico, l’atleta, il professionista), dall’identificazione con il ricevente (una mamma, uno studente, gente comune). Il carattere del messaggio si fa più argomentativo che narrativo, l’immagine diventa dettaglio, primo piano, modellino, grafico esplicativo a supporto visivo dell’argomentazione.

Complessivamente il discorso pubblicitario oscilla fra due opposte esigenze: quella di rendersi riconoscibile, assecondare una serie di aspettative e di convenzioni per essere interpretato da una parte, dall’altra quella di rendere unico e inconfondibile il prodotto facendosi inconsueto e modificandosi, anche travestendosi da “altro genere”. Esempio esasperato di questa tendenza è una recente campagna 1998-99 della Renault per Twingo in cui lo spot maschera il prodotto ora da dentifricio, ora da detersivo per stoviglie, facendo leva su tratti comuni dei rispettivi consumer’s benefits (uno smagliante sorriso derivante non dal potere sbiancante del dentifricio, ma dalla tranquillità di guida nel traffico dell’agile vettura, o la meraviglia degli invitati davanti ad una tavola imbandita, non per la brillantezza delle stoviglie, ma per l’insolito desco allestito nell’auto).

In uno spot del febbraio 2000 per un programma televisivo di varietà della Rai (in cui due squadre di personaggi noti, per lo più dello spettacolo, si fronteggiano in pseudo-gare canore di fronte ad un pubblico effervescente), il conduttore stesso (Alessandro Greco), in camice bianco, garantisce che Furore (è il titolo del programma) è indicato a risollevare lo spirito di giovani, adulti e bambini, quasi come un farmaco, ma non è un medicinale ed è senza controindicazioni. (Lo spot esiste in diverse varianti, una delle quali, del 2000, parla di Furore come di un rimedio per l'udito: al minuto 4.21 del video in link.)

La pubblicità non riesce ad essere in assoluto – e sia nel bene che nel male - originale e innovativa: i suoi contenuti – il discorso sul prodotto - sono prestabiliti, e la sua forma deve risultare riconoscibile, comprensibile e gradevole per ciascun appartenente a target molto vasti. Ciascun target, per quanto ristretto e selezionato, risulta sempre più ampio del pubblico che segue, capisce e apprezza le avanguardie.

Certo: l’obiettivo finale della pubblicità è il consenso. Ma anche la materia prima della pubblicità è il consenso. E il modo migliore per ottenere questo consenso è dire al pubblico quello – e solo quello – che il pubblico si aspetta: provocazioni e campagne-scandalo comprese.

Ma la pubblicità può avere – e ha – una propria peculiare originalità, che risiede nella rielaborazione e amplificazione di una gran quantità di materiali eterogenei […] può realizzare combinazioni spesso sorprendenti, e sintetizzare materiali nuovi […]. (Testa 2000: 30-31)

Questo a conferma che analizzare separatamente una qualsiasi delle componenti o degli aspetti del messaggio pubblicitario significa perdere parte del contenuto del messaggio stesso. Perciò, parlando di linguaggio verbale della pubblicità, sarà spesso necessario presumere, se non accennare ad altre componenti della comunicazione che ne vincolano, più o meno direttamente, la forma.