mercoledì 17 giugno 2009

effetti dell'Assemblea Nazionale Ferpi

Lo scorso venerdì 12 giugno ho partecipato all'Assemblea Nazionale Ferpi, quest'anno elettiva. (foto tratta dal sito Ferpi)
Come sempre accade, per chi non è direttamente coinvolto nell'organizzazione, non fa parte di esecutivi o di qualche lista elettorale, occasioni come queste hanno un significato "intimo". Il senso della partecipazione ha un valore emotivo: relazionale e motivazionale.
Relazionale perché è occasione di reincontrare amici e colleghi più o meno vicini, approfondire la conoscenza, aggiornarsi, scambiare esperienze.
Motivazionale perché proprio la relazione con i colleghi muove alcune riflessioni e osservazioni sul proprio lavoro di relatore pubblico, sulla comunicazione più in generale.

Le riflessioni nate e rinate in questa occasione sono 2:

1.
La comunicazione è relazione, sempre. Anche l'informazione.
Non credo alla differenza fra
comunicazione e informazione intese come comunicazione bidirezionale, la prima, e unidirezionale, la seconda. Credo che nessuno ormai ci creda più. La differenza sta semplicemente negli obiettivi: sono gli obiettivi che determinano in via definitiva la natura e la forma dell'atto comunicativo. Sono gli obiettivi che guidano la scelta delle argomentazioni, delle modalità, dei mezzi, dei codici, dei linguaggi.

Posto che ogni atto comunicativo implica sempre la relazione, è la messa in comune di un pensiero, un'informazione, prevede l'ascolto dell'interlocutore, la ricerca del feed-back, la verifica che la risposta dell'interlocutore sia conforme a quella voluta, l'informazione è un atto comunicativo che ha come obiettivo la trasmissione di una
notizia. Chi informa deve quindi mettere in comune la notizia e verificare la risposta dell'interlocutore: se l'interlocutore non comprende (o non ricorda, o interpreta) il messaggio, l'atto comunicativo è fallito. Non basta dire, bisogna farsi capire (e ricordare).

C'è chi sostiene che la differenza fra comunicazione e informazione sta nelle premesse, nella fase preparatoria dell'atto comunicativo: la
verifica della fonte.
Io credo che la verifica della fonte sia un elemento
modale, non strutturale, e che realizzi quindi una modalità relazionale e comunicativa soggettiva: rappresenta una componente etica dell'atto comunicativo, ne condiziona l'aspetto relazionale (il tipo di rapporto fra gli interlocutori), ma non preclude il pieno raggiungimento dell'obiettivo comunicativo. Credo infatti che la verifica della fonte, come la verità dei contenuti di una qualsiasi comunicazione, sia un pre-requisito ineliminabile di un atto comunicativo etico e responsabile.

2.
Le forme della relazione e della comunicazione sono diverse e diverse le competenze dei comunicatori. Non tutti sappiamo fare tutto. Come la gestione delle crisi, il gorel, le relazioni con la stampa, gli eventi, il lobbying, anche il
public speaking è una specializzazione, una "disciplina" di comunicazione. E noi relatori pubblici troppo spesso trascuriamo di formarci ed esercitarci in questa disciplina. Magari semplicemente perché siamo molto bravi in altro. Come quasi sempre accade ai professionisti di qualsiasi settore: il calzolaio gira con le scarpe rotte, la sarta senza un bottone.

Parlare in pubblico non è facile. Non è facile attirare e mantenere l'attenzione di una platea disomogea e magari indifferente agli argomenti che proponiamo. Non è facile con-vincere, coinvolgere, comunicare. Ammettiamo, io per prima, di non essere capaci di farlo e allora cominceremo a farlo veramente bene.

Fortunatamente la perizia non consegna il diritto alla parola, né l'imperizia determina l'interdizione al microfono. Ma, dal momento che "non si può non comunicare", meglio farlo bene.

Mi iscriverò al prossimo corso di public speaking.