Studiare la lingua della pubblicità è come analizzare il modo di parlare di una persona: ciascuno di noi comunica usando diversi canali, verbali (la lingua e la parola, appunto), para-verbali (il tono di voce, il volume, il ritmo) e non verbali (i gesti, i comportamenti, le espressioni del viso, la postura, il respiro, le scelte nell’abbigliamento, la pettinatura, gli accessori). Ascoltando le scelte e i modi della comunicazione di ciascuno è possibile conoscerlo meglio e comprendere con più certezza le sue intenzioni comunicative.
Mentre la comunicazione verbale trasmette prevalentemente informazioni, quella non verbale trasmette soprattutto stati d’animo. La comunicazione non verbale è quindi in gran parte ‘comunicazione all’inconscio’ e usa un linguaggio analogico diverso da quello logico della comunicazione verbale. Trasferendo questo concetto sul messaggio pubblicitario, ne deduciamo che la pubblicità moderna, prevalentemente non verbale, sceglie di parlare al nostro inconscio.
Per questo motivo la presenza della parola nella comunicazione pubblicitaria ha un motivo preciso, così come la sua assenza. Anche il silenzio invia un messaggio. Uno spot, ai suoi tempi pioniere, recitava, dopo alcuni secondi di assenza di parola: "Silenzio. Parla Agnesi." Era una scelta comunicativa strategica, funzionale alla parola stessa: la parola era la direzione, l’interpretazione, l’invito all’azione.
Mc Donald’s invece, qualche anno fa, usava in un suo spot una tattica diversa: la voce fuori campo enunciava una serie di regole di comportamento che solitamente gli adulti propinano ai bambini ("non si deve giocare a tavola", "non si mettono i gomiti sul tavolo") e poi, in una sala affollata, le scene illustravano come, in un Mc Donald’s, queste regole si possano allegramente disattendere.
In entrambi i casi la parola e gli altri linguaggi usati sono assolutamente inseparabili, complementari. Le parole sono “strumenti che agiscono come catalizzatori del processo motivazionale”, ma non sono il mezzo vero e proprio: per motivare un potenziale acquirente occorre rivolgersi alla sua mente inconscia, muovere associazioni mentali e provocare reazioni irrazionali. Le parole perciò orchestrano gli elementi che compongono il messaggio e, proprio come un direttore, possono non essere la causa scatenante dell’emozione dell’uditorio, ma ne hanno quasi sempre la regia.